Bejar R, et al JCO 2014; 32: 2691–2698
Abstract
Full text
Ruolo prognostico delle mutazioni somatiche ricorrenti nel predire l’outcome del trapianto allogenico in pazienti affetti da sindrome mielodisplastica

Introduzione

Le sindromi mielodisplastiche (MDS) sono un gruppo eterogeneo di patologie per manifestazioni cliniche, alterazioni citogenetiche e molecolari, prognosi. Le mutazioni puntiformi somatiche ricorrenti sono riconosciute come evento patogenetico nelle MDS e si possono associare a manifestazioni fenotipiche. Tali mutazioni sono prognosticamente importanti anche in termini di risposta agli agenti ipometilanti.
Su Journal of Clinical Oncology sono stati presentati i risultati di uno studio volto a valutare l’impatto prognostico della presenza di mutazioni somatiche nei pazienti candidati a trapianto.
L’identificazione di elementi di supporto nel calcolare il rapporto rischio-beneficio e il timing del trapianto è un’esigenza particolarmente sentita nei pazienti affetti da MDS, caratterizzati da età avanzata con conseguente carico di comorbidità. 

Pazienti e metodi

I campioni basali di 87 pazienti affetti da MDS e sottoposti a trapianto allogenico sono stati esaminati con sequenziamento massivo parallelo per 40 mutazioni codificanti note come mutazioni ricorrenti nelle MDS.

Risultati 

Gli Autori hanno riscontrato la presenza di mutazioni nel 92% dei pazienti con la seguente frequenza: ASXL1 (29%), TP53 21%, DNMT3A (18%) e RUNX1 16%.
In analisi univariata solo TP53 correlava con una minor OS (HR 3,74 p <0,001) e con una minor PFS (HR 3,97; p <0,001). Dopo correzione per le variabili cliniche associate con questi endpoint le tre mutazioni TP53 (HR 2,3; p=0,27), TET2 (HR 2,4; p=0,033) e DNMT3A (HR 2,08 p=0,049) erano ognuna indipendentemente associata con una minore sopravvivenza dopo trapianto.
Il 46% dei pazienti della popolazione in studio presentava una mutazione di TP53, TET2 o DNMT3A corrispondenti al 64% dei decessi registrati.
La sopravvivenza a tre anni per i pazienti non portatori di mutazioni era del 59% rispetto a una sopravvivenza del 19% in presenza di almeno una mutazione (Figura 1). 

Conclusioni

La presenza di mutazioni di TP53, TET2 e DNMT3A identifica un sottogruppo di pazienti con limitata sopravvivenza globale dopo trapianto.  
Ad oggi la ricerca di mutazioni genetiche non rientra nella valutazione di routine dei pazienti candidati a trapianto. Gli Autori, pur evidenziando la necessità di ulteriori conferme al loro studio, sottolineano che in presenza di mutazioni prognosticamente sfavorevoli potrebbero essere considerati approcci terapeutici alternativi.