Numero speciale di "Impact Factor News” n° 3 - Ottobre 2014
Introduzione
La leucemia linfatica cronica (LLC) è una patologia caratterizzata da un andamento clinico variabile, all’interno della quale si riconoscono sottogruppi di pazienti con prognosi sfavorevole per caratteristiche cliniche e/o biologiche. Ad oggi è necessario identificare nuove strategie di trattamento per i pazienti a cattiva prognosi. Ibrutinib è un inibitore orale della Bruton tirosin-chinasi (BTK), una proteina essenziale nelle vie di segnalazione, homing e adesione dei linfociti B. Byrd ha pubblicato sul New England Journal of Medicine i risultati dello studio RESONATE che ha confrontato ibrutinib verso ofatumumab nei pazienti con LLC e linfoma a piccoli linfociti (SLL) con caratteristiche genetiche sfavorevoli o non candidabili a terapia con analoghi nucleosidici.
Pazienti e metodi
Lo studio multicentrico, randomizzato, di fase III, ha incluso 391 pazienti affetti da LLC e SLL pretrattati, che non fossero candidabili a terapia con analoghi delle purine per breve durata della risposta o per comorbidità o per età >70 anni o che presentassero delezione del cromosoma 17p13.1.
I pazienti sono stati randomizzati con rapporto 1:1 a ricevere ibrutinib (420 mg in mono-somministrazione giornaliera continuativa fino a progressione o tossicità inaccettabile) o ofatumumab (somministrazione settimanale ev fino a un massimo di 24 settimane). Lo studio prevedeva il crossover da ofatumumab a ibrutinib in caso di mancata risposta.
L’endpoint primario era la durata della PFS. La OS e il tasso di risposte complessiva (ORR) erano gli endpoint secondari.
Risultati
Con un follow-up mediano di 9,4 mesi, i pazienti trattati con ibrutinib hanno ottenuto un miglioramento statisticamente significativo della PFS. La durata mediana non è stata raggiunta nel braccio con ibrutinib (PFS 88% a 6 mesi) rispetto a una PFS mediana di 8,1 mesi con ofatumumab (HR di progressione o decesso pari a 0,22, p <0,001). L’effetto sulla PFS era indipendente dall’età, dallo stadio clinico o dalla presenza di mutazioni genetiche.
Ibrutinib ha incrementato anche la OS a 12 mesi rispetto a ofatumumab (90 vs 81%, p <0,001).
Il tasso di risposte globali con ibrutinib e ofatumumab era rispettivamente del 42,6 e del 4,1% (p <0,001), inoltre circa il 20% dei trattati con ibrutinib ha ottenuto risposta parziale con linfocitosi.
Ibrutinib si è dimostrato efficace anche in presenza della mutazione 17p13.1 e in pazienti resistenti agli analoghi delle purine.
Il profilo di tossicità era accettabile, gli eventi avversi non ematologici più frequenti sono stati diarrea, fatigue, febbre e nausea con ibrutinib e le reazioni infusionali con il monoclonale.
Conclusioni
Ibrutinib è superiore ad ofatumumab per PFS, OS e tasso di risposte, è somministrabile a pazienti anziani e pesantemente pretrattati ed è attivo in sottogruppi con fattori prognostici sfavorevoli. Studi di fase III ne stanno valutando l’impiego in prima linea.