Numero speciale di "Impact Factor News” n° 4 - Ottobre 2016
Background
Il gene TP53, che codifica per la proteina p53 con effetto soppressore sulle cellule tumorali, è posizionato sul braccio corto del cromosoma 17 (17p). I pazienti affetti da leucemia linfatica cronica (LLC) che presentano la delezione di 17p (del17p) ottengono scarsa risposta alle terapie convenzionali e di conseguenza una prognosi infausta. In questo lavoro gli Autori hanno testato l’attività e il profilo di tossicità di ibrutinib, un inibitore orale covalente della tirosin chinasi di Bruton, in pazienti affetti da BLLC o linfoma linfocitico recidivati/refrattari con del 17p.
Pazienti e metodi
Si tratta di uno studio internazionale multicentrico aperto a singolo braccio in 40 centri in USA, Canada, Europa, Australia e Nuova Zelanda. Pazienti con età ≥18 anni, precedentemente trattati per BLLC o linfoma linfocitico con del 17p venivano arruolati per ricevere ibrutinib per os alla dose giornaliera di 420 mg fino a progressione o a tossicità non accettabile.
L’obiettivo primario dello studio era il rate di risposte globali in tutta la popolazione trattata secondo i criteri internazionali del Workshop on Chronic Lymphocytic Leukaemia 2008 modificati per la linfocitosi relata al trattamento, che non doveva essere quindi considerata come un fallimento della terapia. Analisi secondarie pre-pianificate erano la progression-free survival (PFS), la overall survival (OS), il miglioramento ematologico sostenuto e il miglioramento delle difese immunitarie. Al momento di questa pubblicazione l’arruolamento dei pazienti è stato completato ma il follow-up previsto è in corso. La sospensione della terapia dovuta a eventi avversi, tossicità non accettabile, morte è stata riassunta in un'unica categoria. Lo studio è registrato su ClinicalTrials.gov, numero NCT01744691.
Risultati
Tra gennaio e giugno 2013 sono stati arruolati 145 pazienti che hanno ricevuto almeno una dose di farmaco. L’età mediana della popolazione in studio era di 64 anni (range 57–72) e la mediana di trattamento precedente di due linee (range 1–3). Per quanto concerne la prima interim analisi delle risposte, dopo un follow-up mediano di 11,5 mesi (range 11,1–13,8), 92 (64%, 95% CI 56–71) su 144 pazienti hanno presentato una risposta globale al trattamento in accordo con la valutazione di revisori indipendenti; 119 pazienti (83%, 95% CI 76–88) hanno presentato una risposta globale secondo la valutazione degli sperimentatori dello studio. Nell’analisi più estesa con un follow-up mediano di 27,6 mesi (range 14,6–27,7). L’ORR, secondo la valutazione degli sperimentatori dello studio, è stata riportata in 120 pazienti (83%, 95% CI 76–89). La PFS a 24 mesi era 63% (95% CI 54–70) e la OS a 24 mesi era 75% (67–81).
Un miglioramento della crasi ematica sostenuto è stato registrato in 72 (79%) dei 91 pazienti con una citopenia al momento dell’arruolamento. Non sono state registrate variazioni clinicamente rilevanti nel dosaggio delle immunoglobuline dal baseline a 6 mesi o a 24 mesi à concentrazioni di IgA (mediana 0,4 g/L al baseline, 0,6 g/L a 6 mesi e 0,7 g/L a 24 mesi), IgG (5,0 g/L, 5,3 g/L, e 4,9 g/L), o IgM (0,3 g/L in tutti e tre i tempi). Le cause comuni di sospensione del trattamento sono state: progressione di malattia in 34 (24%) pazienti ed eventi avversi, tossicità inaccettabile o morte in 24 (17%). Per quanto concerne le tossicità non ematologiche, sanguinamenti maggiori si sono verificati in 13 (9%) pazienti (11 [8%] grado 3–4). Infezioni di grado severo si sono verificate in 43 (30%) pazienti, incluse polmoniti in 19 (13%). Nell’analisi estesa, si sono registrati 38 decessi, 18 come conseguenza di eventi avversi (4 per polmonite, 3 per la malattia in progressione, 2 per trasformazione in sindrome di Richter, 2 per sepsi e una per infarto miocardico, una per shock settico, una per encefalopatia, una per MOF, una per insufficienza epatica, una per scompenso cardiaco e una per infarto renale).
Conclusioni
Gli Autori concludono che nello studio un’alta percentuale di pazienti ha ottenuto una risposta globale al trattamento con ibrutinib con un profilo di rischio beneficio accettabile. Questi risultati comprovano l’efficacia di ibrutinib in quello che ad oggi rappresenta il subset di pazienti più difficile da trattare. Ibrutinib presenta una rilevante efficacia nei pazienti con del17p e dovrebbe essere inserito come trattamento di prima linea negli algoritmi di trattamento per pazienti affetti da BLLC o linfoma linfocitico con del 17p.