Numero speciale di "Impact Factor News” n° 4 - Ottobre 2016
Introduzione
L’impiego dell’anticorpo monoclonale anti-CD20 rituximab ha determinato un miglioramento radicale dei risultati terapeutici nei linfomi non-Hodgkin a cellule B, diventando standard di cura. Nella leucemia linfoblastica a cellule B, l’espressione del CD20 alla diagnosi è limitata a una quota di pazienti compresa tra il 30 e il 50% e, secondo alcuni studi, ha un significato prognostico negativo. Maury ha pubblicato sul NEJM i risultati favorevoli dello studio randomizzato GRAALL-2005, disegnato per valutare l’efficacia del monoclonale in aggiunta alla chemioterapia standard in questo setting di pazienti, dato finora mancante in letteratura.
Metodi
Lo studio multicentrico di fase III ha coinvolto 220 pazienti di età compresa tra 18 e 59 anni, con diagnosi di leucemia linfoblastica Ph-, CD20+. Su 220 pazienti, 11 sono stati esclusi dall’analisi perché non idonei secondi i criteri di inclusione. Tra i 209 pazienti valutabili, 104 pazienti hanno ricevuto il trattamento chemioterapico standard secondo protocollo GRAALL-2005 (gruppo di controllo) e 105 pazienti hanno aggiunto il rituximab alla terapia convenzionale. Il monoclonale veniva somministrato al dosaggio di 375 mg/m2 durante tutte le fasi di trattamento, compreso il mantenimento, per un totale di 18–20 infusioni. I pazienti con indicazione trapiantologica venivano avviati a trapianto allogenico dopo il primo o il secondo consolidamento.
Lo studio si proponeva come obiettivo primario la valutazione dell’event-free survival (EFS).
Risultati
La percentuale di risposte precoci era analoga nei due bracci in studio. Nel gruppo trattato con rituximab si riscontava un minor numero di recidive: 18 vs 32% (HR 0,52 p=0,017). Questo si traduceva in un miglioramento globale dell’EFS (follow-up mediano 30 mesi). L’EFS a due anni era del 65% nel gruppo trattato con rituximab e del 52% nel braccio standard (HR 0,66, p=0,04). La somministrazione di rituximab era associata a un miglioramento dell’EFS anche nei pazienti che presentavano altri fattori identificati come prognosticamente sfavorevoli in multivariata (età >40 anni, coinvolgimento del sistema nervoso centrale e leucociti >30x109/L alla diagnosi).
Per quanto riguarda l’overall survival (OS) si osservava una tendenza al miglioramento nel gruppo sperimentale, con una differenza non statisticamente significativa (Tabella 1, Figura 1). Limitando l’analisi ai pazienti non sottoposti a trapianto, l’OS è significativamente maggiore per i pazienti che hanno ricevuto il monoclonale.
L’incidenza cumulativa di eventi avversi gravi era analoga nei due gruppi, gli autori segnalano una minor incidenza di reazioni allergiche ad asparaginasi nei pazienti trattati con il monoclonale.
Conclusioni
L’aggiunta di rituximab ai protocolli chemioterapici della leucemia linfoblastica CD20+ Ph- è ben tollerata, migliora in modo significativo l’EFS e prolunga l’OS nei pazienti non sottoposti a trapianto. Lo studio apre la strada all’utilizzo di un farmaco consolidato in questo setting di pazienti.