Numero speciale di "Impact Factor News” n° 4 - Ottobre 2023
Introduzione
Questo lavoro nasce dall’esigenza di colmare la mancanza di studi randomizzati con venetoclax abbinato ad anticorpi anti-CD20 come trattamento di prima linea in pazienti fit, a buona prognosi (ossia pazienti giovani senza comorbidità coesistenti e che non presentavano aberrazioni di TP53) affetti da leucemia linfatica cronica (LLC) con malattia avanzata.
Metodi
Si tratta di uno studio di fase III, in aperto, dove gli sperimentatori hanno assegnato in modo casuale, in un rapporto 1:1:1:1, pazienti con LLC che non presentavano aberrazioni di TP53 a ricevere sei cicli di chemioimmunoterapia (fludarabina-ciclofosfamide-rituximab o bendamustina-rituximab) o 12 cicli di venetoclax-rituximab, venetoclax-obinutuzumab o venetoclax-obinutuzumab-ibrutinib. Ibrutinib veniva interrotto dopo due misurazioni consecutive di malattia minima residua (MRD) non rilevabile, viceversa poteva essere prolungato. Gli endpoints primari erano la MRD non rilevabile (sensibilità: <10-4 [cioè <1 cellula LLC su 10000 leucociti]), valutata mediante citometria a flusso nel sangue periferico al mese +15 dall’inizio del trattamento, e la sopravvivenza libera da progressione (PFS).
Risultati
Un totale di 926 pazienti è stato assegnato a uno dei quattro regimi di trattamento (229 alla chemioimmunoterapia, 237 a venetoclax-rituximab, 229 a venetoclax-obinutuzumab e 231 a venetoclax-obinutuzumab-ibrutinib). Al mese +15, la percentuale di pazienti con MMR non rilevabile era significativamente più alta nel gruppo venetoclax-obinutuzumab (86,5%; confidence interval CI 97,5%: 80,6–91,1) e nel gruppo venetoclax-obinutuzumab-ibrutinib (92,2%; CI 97,5%: 87,3–95,7) rispetto al gruppo chemioimmunoterapia (52,0%; CI 97,5%: 44,4–59,5; p <0,001 per entrambi i confronti), ma non era significativamente più alta nel gruppo venetoclax-rituximab (57,0%; CI 97,5%: 49,5–64,2; p=0,32). La PFS a tre anni è stata del 90,5% nel gruppo venetoclax-obinutuzumab-ibrutinib e del 75,5% nel gruppo chemioimmunoterapia (rapporto di rischio per progressione della malattia o morte, 0,32; CI 97,5%: 0,19–0,54; p <0,001). Anche la PFS a tre anni è stata più elevata con venetoclax-obinutuzumab (87,7%; rapporto di rischio per progressione della malattia o morte, 0,42; CI 97,5%: 0,26–0,68; p <0,001), ma non con venetoclax-rituximab (80,8%; rapporto di rischio, 0,79; CI 97,5%: 0,53–1,18; p=0,18). Le infezioni di grado 3 e 4 erano più comuni con chemioimmunoterapia (18,5%) e venetoclax-obinutuzumab-ibrutinib (21,2%) rispetto a venetoclax-rituximab (10,5%) o venetoclax-obinutuzumab (13,2%).
Conclusioni
Venetoclax-obinutuzumab con o senza ibrutinib si è rivelato superiore alla chemioimmunoterapia come trattamento di prima linea nei pazienti fit affetti da LLC senza fattori prognostici negativi. (Finanziato da AbbVie e altri; numero GAIA–CLL13 ClinicalTrials.gov, NCT02950051; numero EudraCT, 2015-004936-36)